mercoledì 12 settembre 2007

materiali 1

Dal sito www.saveriani.bs.it/cem/corsi/materiali3.htm pubblichiamo questo scritto di Antonio Nanni e Claudio Economi; ringrazio la Redazione di CEM Mondialità per la cortesia.

Pedagogia e interculturalitá,
a cura di Antonio Nanni e Claudio Economi

Ha scritto Vaclav Havel: "non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato". Ciò vuol dire che dobbiamo avere il coraggio di "osare", di avere fiducia e speranza almeno nel "piantare", nel gettare semi nel cuore degli uomini e delle donne di questo mondo. Dobbiamo saper camminare con piccoli passi ma avendo dinanzi a noi grandi orizzonti. Non è facile costruire insieme una "paideia" per il nuovo millennio ma è certo che non potrà essere la stessa dei millenni precedenti o semplicemente degli ultimi decenni. Siamo veramente di fronte ad un passaggio d’epoca e dunque ad un cambio di paradigmi. Non si tratta di operare un cambiamento di mentalità ma di acquistare una mentalità di cambiamento, una spiritualità da viandanti, un pensiero nomade.
"Paideia" è una parola antica che indica il complesso dell’offerta formativa che il mondo adulto tenta di elaborare e di proporre alle nuove generazioni, per assicurare continuità e cambiamento, tradizione e novità. Noi, almeno nei paesi occidentali, proveniamo da una tradizione filosofica e pedagogica molto ben radicata sul principio "conosci te stesso" (... tanto l’altro è uguale a te, oppure è barbaro, pagano, infedele ...). Insomma: se conosci te stesso (l’identità) hai conosciuto ciò che è essenziale. E questo basta. Ma che ne è di questo principio quando l’altro è proprio diverso e io non riesco più a considerarlo un barbaro, un estraneo, ne a restare indifferente di fronte a lui?
La svolta antropologica da compiere sta proprio qui. Questa metanoia diventa possibile soltanto se ci mettiamo in viaggio verso l’altro, come viandanti, uomini e donne "in esodo". Sono in molti a sottolineare che l’altro è oggi la questione del pensiero. Ma un’etica del volto e una cultura della reciprocità non si improvvisano. Tale scelta è possibile soltanto se il soggetto storicamente dominante accetta il proprio depotenziamento e la propria auto-decostruzione (un atteggiamento antropologico che affonda le sue radici nella teologia della Kenosi). In questo modo nascerà la possibilità di un incontro vero, perché ci si colloca in una situazione di parità reale e non solo fittizia, nella quale non si chiede che sia soltanto l’altro a cambiare, ma siamo anche noi a porci nella situazione di cambiamento. Proprio perché assumiamo un atteggiamento severo di depotenziamento, l’altro è invitato a fare altrettanto. Si crea così il principio di reciprocità: ognuno può dare e può ricevere qualcosa. A chi ha paura di perdere la propria identità culturale, facciamo notare che non è dalla reciprocità che deve temere questo, semmai dall’imperialismo economico che tende a omogeneizzare i comportamenti e le mentalità.
Ma il rapporto tra le culture non deve essere idealizzato perché si colloca sempre all’interno di un rapporto conflittuale di forza che finisce inevitabilmente per produrre "asimmetria" e "squilibrio".
La vera sfida che abbiamo davanti è allora la seguente: come passare dalla "conflittualità" delle differenze alla "convivialità" delle differenze (o almeno ad un riduzione della conflittualità). Una comunità formata da soggetti appartenenti a diverse religioni, culture ed etnie (si pensi a Nevé Shalom deve essere consapevole di rappresentare un luogo profetico e di costituire il terreno più avanzato di sperimentazione della convivenza, e merita pertanto ogni appoggio da parte di chi ha a cuore il futuro "conviviale" dell’umanità.

Alcuni compagni di viaggio

Nella prospettiva di una nuova paideia per il Terzo Millennio scegliamo alcuni compagni di viaggio fra i molti possibili. Comenio per l’Europa, Tagore per l’Asia, Paulo Freire per l’America Latina, Hampata Bâ per l’Africa.

1. JAN AMOS KOMENSKY (Moravia)
Come ha scritto G. Fornizzi nel bel saggio L’interculturalità nella storia della pedagogia, Komensky, nell’età moderna, è stato certamente il primo a voler abbattere certe frontiere: omnes significa per lui tutti, assolutamente tutti, proprio in contrapposizione con le tradizionali chiusure, con precisazioni che già rompono steccati secolari e anticipano convinzioni trasformatesi poi in capisaldi ovvii e indiscutibili. E indicare in quegli omnes i bambini, le donne, i vecchi, e perfino gli anormali ecc. voleva già dire aprirsi nuovi varchi, calcare nuove strade.Il suo pensiero pedagogico è fortemente caratterizzato da un respiro universale quale mai prima di lui si era visto e sentito in campo educativo. La via della luce scritta nel 1640 su richiesta di alcuni amici parlamentari e uomini di cultura inglesi, può a buon diritto essere considerata un’opera — la prima della storia della pedagogia — scritta all’insegna dell’intercultura. In esso la cultura viene rappresentata come la luce che deve illuminare tutti gli uomini. Perché questa luce divenga accessibile ad ogni uomo — si dice uomo, senza badare a niente altro che alla qualifica prima e imprescindibile: l’umanità — Komensky propone:

libri universali,
scuole universali,
collegio universale,
lingua universale.

I valori particolari restano con i loro contenuti di autenticità, tuttavia se non concorrono a formare l’uomo in quanto tale diventano deleteri, distruttivi, appartengono alla follia delle separazioni, delle discordie, delle guerre, invece che all’utopia costruttrice della pace, all’ideale umano universale dell’unità.

2. TAGORE
Rabindranath Tagore (1861 - 1941), che è stato un "poeta universale", sollecitato dalla sua premiazione con il Nobel per la Letteratura del 1913 e dalla sua desolazione per le miserie della prima guerra mondiale, creerà una casa di incontro per uomini di tutto il mondo, a qualunque gruppo etnico, classe sociale o credo appartenessero. La piccola scuola della "Casa della pace" a Santieneketon, trasformata in una Università Mondiale dal nome di Bisso Bharoti, tra i suoi obiettivi aveva il seguente : "l’uomo in qualsiasi posto egli sia, se ha prodotto qualcosa di valore eterno, non può reclamarlo esclusivamente per se stesso e per il suo popolo, perché appartiene, come i diritti acquisiti sin dalla nascita come essere umano, ad ogni uomo" (cfr., Tagore R., Sissu, ed. Guaneb, 1979).

3. FREIRE
Paulo Freire (n.1912) ha parlato del superamento di una coscienza intransitiva in una direzione di una coscienza transitiva: la prima indica la chiusura invalicabile nel proprio concreto vivere situazionale senza alcuna possibilità di critico superamento; la seconda si muove nella direzione di formare l’uomo come persona critica, coscienzatizzata, autonoma, creativa e democratica, non più "oppressa": "...Quando dico educazione penso ad un processo di acquisizione di conoscenza a favore non della libertà, bensì della liberazione... Non si smette mai di cercare la libertà..." (cfr., Freire P., Il canto della liberazione, in Bambini ‘90, VI (1990), n.8).

4. HAMPATÈ BÂ
La civiltà africana, non solo negata ma resa inammissibile durante il secolo del colonialismo, ha ritrovato attualmente le sue voci. Nel processo evolutivo delle reazioni tra l’Occidente e il Terzo Mondo, grande peso hanno avuto politici, letterati, filosofi e artisti nativi. Tra questi un posto di rilevo occupa A. Hampatè Bâ che ha dedicato la sua vita a conservare e difendere la cultura africana; ma ciò non con mentalità statica rivolta sterilmente ad un passato nostalgico; bensì con mentalità dinamica: "la tradizione orale dei popoli africani e la realtà su cui si deve poggiare una cultura viva e vitale, che si evolve nel contatto con le culture esterne senza perciò perdere la propria identità (cfr., Introduzione, a cura di Volpini D., in A. Hampatè Bâ, Aspetti della civiltà africana. Mutamento culturale ed Evangelizzazione, Biblioteca Nigrizia, Bologna 1975).A tal riguardo, così ha scritto il filosofo africano: "La riabilitazione delle lingue africane di base permetterebbe, da parte sua, di valorizzare la tradizione originale di ogni etnia, di pensare nella sua lingua, di raccogliere le tradizioni nella loro lingua senza perderne il sapore e la finezza, come accade invece, inevitabilmente, nelle traduzioni, che "mancano di sale" rispetto all’originale [...]. Si tratta secondo me di aiutare l’Africa a conservare ed a sviluppare la propria personalità, e di permettere di parlare di se stessa. Spetta infatti agli Africani di parlare dell’Africa agli stranieri, e non a questi ultimi, per colti che essi siano, di parlare dell’Africa agli Africani. Come dice un proverbio del Mali: "Quando si è in presenza di una capra, non si deve belare in vece sua". Troppo spesso, infatti, ci hanno attribuito delle intenzioni che non abbiamo, hanno interpretato i nostri costumi o le nostre tradizioni in funzione di una logica che, senza cessare di essere logica, non lo è per noi. Le differenze di psicologia e di comprensione falsano le interpretazioni date dall’esterno". (Hampatè Bâ, op. cit., pp. 97-98)

Indicazioni bibliografiche

Acone G., L’ultima frontiera dell’educazione, La Scuola, Brescia 1986.
Formizzi G., L’interculturalità nella storia della pedagogia, in Agosti A., (a cura), Interculturalità e insegnamento, SEI, Torino 1996.
Gianola P., Pedagogia all’appuntamento del 2000, in "Orientamenti Pedagogici", 42 (1995), pp. 1175-1190.
Montessori M., Educazione e pace, Garzanti, Milano 1970.
Nanni A., Educare alla convivialità, EMI, Bologna 1994, 2a ed. 1995.
Nanni A., Pedagogia del volto. L’educazione dopo Lévinas, in corso di pubblicazione presso la rivista "Testimonianze".
Panikkar R., La torre di Babele, ECP, Fiesole 1990.
Vico G., L’educazione frammentata, La scuola, Brescia 1995.
Vico G. - Santerini M., Educare dopo Auschwitz, Ed. Vita e Pensiero, Milano 1995.
Santerini M., Cittadini del mondo, La scuola, Brescia 1995.

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